Ago 032021
 

Uno dei principali obiettivi a livello internazionale, è quello di riuscire ad eliminare o a ridurre sensibilmente l’utilizzo di materie plastiche, grande fonte di inquinamento dei mari e delle terre e anche a causa di un’impronta ecologica piuttosto negativa dal punto di vista delle emissioni nocive sia per la sua produzione che per il suo smaltimento.

Questo è diventato l’obiettivo della maggior parte delle multinazionali le quali sono sempre più impegnate nella realizzazione di prodotti e soluzioni alternative all’uso delle materie plastiche. Una delle più grandi aziende a livello mondiale la Procter and Gambler, in collaborazione con Paboco (The Paper Bottle Company) ha avviato la produzione della prima bottiglia che utilizza materiali riciclabili e bio-compatibili riducendo, così, drasticamente l’utilizzo della plastica. La società, multinazionale nota per marchi quali Gilet, Panten, Oral-B, ha avviato un progetto pilota che si svolgerà in Europa nel 2022. Lo scopo è quello di estendere l’utilizzo di confezioni di carta realizzate in modo da integrarle sempre di più nel portfolio dei propri prodotti.

Il progetto, sviluppato dalla Fabric & Home Care, una delle società facenti parte del gruppo internazionale, riferisce di essere fortemente impegnata nella riduzione della plastica nelle sue confezioni. Il progetto ambizioso è quello di arrivare nel 2030 a ridurre l’uso della plastica vergine del 50%, ma già prima ridurre l’utilizzo della plastica del 30% entro il 2025 e realizzare packaging 100% riciclabili già entro il 2022.

Il progetto, promette di diventare realtà e di avere un grande successo anche perché patrocinato da altri giganti del settore come la the Coca-Cola company, CarlsBerg Group, l’Oréal e tante altre impegnati tutti nell’obiettivo comune di sviluppare la prima bottiglia al mondo in carta riciclabile di origine completamente biologica.

Il progetto pilota ha già prodotto il primo di questi nuovi contenitori per uno dei marchi del gruppo, Lenor, dove la società ha dovuto affrontare i grossi problemi legati all’adozione di un packaging in grado di conservare liquidi ma fatto di carta.

Questo prototipo, rappresenta il primo passo verso il packaging bio-based. Si tratta di un contenitore, in carta certificata FSC, quindi di origine sostenibile che presenta però una sottile barriera, attualmente in plastica PET riciclata al suo interno, ma l’obiettivo è quello di realizzare una bottiglia che possa integrare questa barriera direttamente nella fodera di plastica creando così una bottiglia 100% di origine biologica e completamente riciclabile.

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Feb 102020
 

Molti sono gli elementi che contribuiscono ad inquinare il nostro pianeta creando problemi sia a livello globale che locale. Si è tanto parlato, anche su questo sito, degli effetti che, la plastica e le micro plastiche, ossia materiali non biodegradabili, causano sull’ambiente soprattutto quello marino. Ma non è solo la plastica ad inquinare, parecchi prodotti emettono quantità di CO2 nell’atmosfera capaci di creare effetti disastrosi quali l’effetto serra e l’aumento delle temperature, con conseguenze sui ghiacciai e sulle condizioni climatiche in generale.

Chi contribuisce ad emettere queste emissioni di CO2 è sicuramente il traffico veicolare e gli aeroplani, ma anche le fabbriche, le industrie e altri processi di trasformazione. Pensate che, la realizzazione delle nostre strade, costituite da asfalto, contribuisce ad emettere 27 kg di anidride carbonica per ogni tonnellata prodotta, inoltre l’asfalto trattiene il calore e contribuisce all’innalzamento delle temperature soprattutto nelle aree urbane con ulteriore aggravio delle condizioni già, in generale, compromesse.

L’Olanda è sempre stato un paese all’avanguardia dal punto di vista delle soluzioni green e delle ricerche in ambito ecosostenibile e arriva proprio da una società di questa nazione un brevetto per la realizzazione di un manto stradale realizzato, pensate un po’, in plastica. Sembrerebbe un controsenso, realizzare una strada già di per sé inquinante con materiale anche esso inquinante; ma l’idea di questa società sarebbe quella di realizzarle attraverso il recupero di tonnellate di plastica da macero riciclabile, dando così nuova vita ad un materiale che produrrebbe ulteriore inquinamento.

Quali i vantaggi di questo nuovo sistema che potrebbe sostituire l’asfalto? Secondo le indicazioni dell’azienda queste strade risulterebbero più leggere riducendo così il carico sul terreno e, sarebbero realizzabili in più strati così da permettere l’inserimento al loro interno di tubature e condotte in modo da evitare successivi e ulteriori lavori di smantellamento e ripristino come accade già oggi. Inoltre, la loro natura, ne consentirebbe la produzione direttamente in stabilimento, riducendo così i tempi di costruzione, assemblaggio e abbreviando anche i tempi di percorrenza e di conseguenza l’inquinamento. Non sarà più necessario, in questo modo, realizzare lunghi cantiere ad hoc nelle aree di costruzione, la realizzazione avverrebbe in tempi molto più rapidi, evitando quelle lunghe interruzione che hanno ricadute pesantissime sul traffico veicolare. Pendenze e accorgimenti tecnici arriverebbero già pronti per il montaggio dalla fabbrica, riducendo anche la difficoltà cantieristica. Inoltre, Plastic Road, questo il nome dato dalla società alla loro invenzione,  non presenta controindicazioni per l’installazione in qualunque sito geografico o climatico. Questo nuovo manto stradale può essere utilizzato senza problemi in zone con clima torrido con temperature estreme o nei climi glaciali con temperature bassissime senza problemi di deperimento o danneggiamento.

I presupposti ci sono tutti per la creazione di un prodotto di successo, ma altri studi e approfondimenti vanno sicuramente condotti al fine di evitare nuove e drammatiche conseguenze al nostro già martoriato pianeta.

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Ott 262019
 

L’invenzione della plastica, è stata una delle più grandi scoperte della storia. Come oramai quasi tutti sanno, la plastica deriva dal petrolio, dal quale viene estratto e poi miscelata con altre sostanze per formare infinite miscele di materiali diversi. Purtroppo, però, alcuni tipi di plastica portano con sé una grave conseguenza: non sono biodegradabili. Questo significa che questo materiale se non opportunamente riutilizzato ho riciclato, inquina pesantemente l’ambiente come del resto, stiamo quotidianamente scoprendo attraverso esperienze dirette o i mass-media che ce ne danno notizia.

La plastica derivata dal petrolio esiste da circa cinquant’anni, mentre invece i poliesteri, ossia il gruppo di sostanze a cui essa appartiene, esistono in natura da tempi remoti e costituiscono il rivestimento protettivo di alcune foglie. Alcuni batteri, approfittano da milioni di anni di queste sostanze nutrendosene e riuscendole a decomporre perfettamente. Alcuni scienziati dell’Università di Portsmouth nel Regno Unito, studiando e osservando questo fenomeno, hanno scoperto che alcuni di questi batteri si sono evoluti molto rapidamente e sono oggi in grado di digerire e nutrirsi del polietilene tereftalato (PET), una resina termoplastica, quella con cui vengono realizzate le bottiglie e molti contenitori alimentari che siamo soliti utilizzare tutti i giorni. Questo batterio, chiamato Ideonella sakaiensis, è in grado di digerire e metabolizzare le molecole del PET utilizzando alcuni enzimi compreso lo PETasi scoperto anch’esso grazie all’identificazione della Ideonella sakaiensis. La scoperta, molto recente, è stata pubblicata sulla rivista Science nel 2016 e apre incredibili scenari per il futuro del pianeta in riferimento al riutilizzo e il riciclo della plastica.

Passare dalla fase di sperimentazione e studio a quella di applicazione pratica, non è però semplicissimo. Bisogna infatti considerare che una colonia di batteri riesce a digerire piccoli frammenti di plastica in poche settimane ma i tempi variano ovviamente in base alla grandezza della colonia e alla superficie di plastica da dover smaltire.

La cosa che ha sorpreso gli scienziati, è come questi batteri siano stati in grado di adattarsi e modificare il loro regime alimentare in poco meno di cinquant’anni, ossia il tempo da cui è presente il PET nella nostra quotidianità, considerando che appunto prima di allora questa forma di plastica non esisteva.

Già oggi, buona parte delle materie termoplastiche, compreso il PET, vengono riciclate per ottenere nuovi oggetti e ridurre al tempo stesso la quantità di rifiuti presente nell’ambiente. Il problema è che ad ogni riciclo queste materie perdono alcune delle loro caratteristiche diventando sempre meno idonee ad essere riutilizzate e dovranno necessariamente finire in discarica o essere distrutte in un inceneritore.

Studiando le capacità della Ideonella sakaiensis e della sua capacità di utilizzo della plastica i ricercatori hanno prodotto un modello virtuale in 3D dell’enzima basandosi sulle osservazioni eseguite al microscopio elettronico. In questo modo hanno compreso meglio la sua struttura e sono riusciti ad individuare alcuni punti deboli che possono essere corretti. In questo modo saranno in grado di potenziare gli effetti di questa disgregazione e accelerare i processi di smaltimento. Lo studio ha dimostrato che la PETasi è in grado di riportare i poliesteri al livello originale ossia a come quando sono stati prodotti dal petrolio, quindi di ricreare plastica nuova con caratteristiche integre. E’ chiaro, però, che per arrivare a una produzione sul larga scala saranno necessari anni di studi e di laboratorio perché il problema non è solo quello di disgregare il polietilene tereftalato, bensì quello di farlo in larga scala e in un tempo minore affinché questo processo possa risultare vantaggioso sia economicamente che per l’ambiente.

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Giu 122019
 

L’ennesima soluzione per realizzare batterie ecologiche, a basso costo e durature giunge dai ricercatori dell’Università americana di Purdue, nell’Indiana i quali hanno presentato i risultati di una loro ricerca piuttosto singolare.

Gli scienziati sono partiti da un materiale poco riciclabile ma altamente inquinante come il polistirolo, le palline bianche che servono per imballaggio e per l’isolamento. Solo per il 10% viene riciclato mentre il resto finisce nelle discariche con gravi problemi per lo smaltimento e soprattutto per l’ambiente, vista la quantità di sostanze chimiche contenute in questo materiale capace di provocare grave inquinamento all’ecosistema.

Con la loro ricerca, gli scienziati Vinodkumar Etacheri e i ricercatori guidati da Vilas Pol, sono riusciti a trasformare questo materiale da imballaggio in micro fogli e nano-particelle di carbonio e li hanno testati come anodi delle batterie all’ioni di litio ricaricabili. Il risultato è stato incredibile. Questi elettrodi sono risultati migliori di quelli attualmente in commercio realizzati in grafite.

Utilizzo di questo materiale porterebbe con sé due vantaggi: da un lato eliminare materiale inquinante riciclandolo al 100%, dell’altro realizzare batterie altamente efficienti. Gli studi sono talmente a buon punto che, molto probabilmente, queste batterie potrebbero arrivare già sul mercato tra meno di due anni.

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Giu 052019
 

Il problema plastica oramai è universalmente noto. È un materiale non biodegradabile ottenuto da idrocarburi come il petrolio, che immesso nell’ambiente lo inquina in maniera permanente. Soprattutto i mari sono oggetto di un grave inquinamento perché la plastica in mare si decompone molto lentamente inquinandone la superficie e i fondali, ma una volta che si disgrega in frammenti piccolissimi viene ingerita dai pesci dei quali, poi, noi ci nutriamo assumendone indirettamente durante l’alimentazione.

Molte sono le ricerche in corso per trovare una soluzione alla plastica e anche le nazioni si stanno muovendo in questa direzione; è di pochi giorni fa, la decisione della Comunità Europea di eliminare entro il 2021 la plastica monouso causa maggiore di inquinamento dei mari e del pianeta in generale.

Una soluzione interessante sembra giungere dai ricercatori del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti d’America, lo United States Department of Energy, dal Lawrence Berkeley National Laboratory dove è stato creato un nuovo materiale plastico totalmente riciclabile denominato poly-diketoenamine o PDK.

La caratteristica incredibile di questo nuovo materiale, è quella di poter essere smontato a livello molecolare per poi essere ricomposto per formare oggetti diversi con nuove tessiture, colori, forme, infinite volte senza perdita di prestazioni e qualità. 

Normalmente le molecole dei materiali plastici nascono da cosiddetti monomeri, ossia molecole molto semplici capaci in determinate condizioni fisiche, calore e pressione o altro, di legarsi insieme con altri monomeri a formare molecole anche molto complesse chiamate polimeri. Queste sostanze, però, una volta utilizzate non possono più essere riutilizzate per cui finiscono necessariamente in discarica con ulteriore inquinamento.

I monomeri di PDK, possono invece essere completamente separati dai loro additivi immergendolo oggetto in una soluzione particolarmente acida. Quindi, in questo nuovo materiale i legami immutabili delle plastiche convenzionali, vengono tramutati in legami reversibili che fanno sì che il materiale possa essere più e più volte riciclato in modo molto efficace e senza nuovo inquinamento.

Per cui, qualunque oggetto realizzato in PDK può essere scomposto e ricomposto in qualunque altro oggetto cambiando, di conseguenza, la forma, il colore, le proprietà e senza mai dover gettare l’oggetto nella discarica.

Adesso, partendo da questa nuova scoperta, i ricercatori stanno lavorando su varianti che consentano di realizzare una vasta gamma di prodotti derivati dal PDK con proprietà termiche, meccaniche, fisiche e chimiche differenti, così da poter utilizzare questo nuovo materiale, totalmente riciclabile, in ogni possibile campo di applicazione.

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Feb 202019
 

L’inquinamento e l’uso non oculato delle risorse sta causando fenomeni sempre più estremi per cui sentiamo parlare e vediamo sui TG di inondazioni, terremoti, violenti temporali che flagellano il pianeta. Inoltre, l’altissimo inquinamento dovuto alle sostanze utilizzate e riversate nell’ambiente, una per tutti la plastica, sta rendendo le coscienze sempre più attente al problema e sempre più spesso ci imbattiamo in proposte per rendere eco-compatibile il nostro sistema di vita.

Nasce da questi presupposti il “Resilient Homes Design Challenge” lanciato dalla Word Bank per trovare delle soluzioni in grado di arginare i devastanti effetti del cambiamento climatico.

Una delle 9 proposte vincenti è il progetto realizzato da Laura Munoz Tascon, una studentessa colombiana che, per il Politecnico di Torino, ha realizzato la Core House, il progetto di una casa auto-costruibile e auto-sostenibile, dotata di un sistema di galleggianti fatto di fusti di plastica riciclata che le consentono, in caso di inondazione, di sollevarsi fino a 1,5 m, quindi, di galleggiare letteralmente sull’acqua. La casa, inoltre, si presenta dal punto di vista estetico molto piacevole perché realizzata in canne di bambù e con dei sistemi di parasole che possono chiudersi per proteggere le aperture in caso di forte vento.

Il team del politecnico di Torino tra l’altro è l’unico, tra i nove premiati, non composto da professionisti, bensì da accademici. Le proposte pervenute sono state più di 300 suddivise in tre scenari diversi: il clima caldo umido, gli ambienti sottoposti a frequenti esondazioni o inondazioni, e lo scenario freddo dell’Himalaya con frequenti terremoti e frane.

La Word Bank e le Nazioni Unite hanno così proposto questo concorso con l’intento di promuovere la progettazione di piccole case economiche e sostenibili che, potessero essere costruite in zone colpite da calamità ad un costo inferiore di 10.000 dollari. Il team del politecnico di Torino, facente parte laboratorio interdisciplinare “Design within the limits of scarcity“, ha così preso parte alla sfida, un gruppo composto da 48 studenti di tutto il mondo iscritti al Politecnico o in Italia per l’Erasmus, coordinati da un nutrito gruppo di docenti dell’Università. Hanno prima sviluppato alternative di progetto per poi formare tre diversi team ciascuno per uno dei diversi scenari proposti dal concorso. Uno dei tre gruppi, come detto, è entrato nel novero dei vincitori.

I progetti vincenti, saranno invitati per un’esposizione nella sede centrale a Washington della Word Bank e in altre sedi internazionali e saranno finanziati per poter essere realizzati e sperimentati in ambiti reali dove la Banca Mondiale interviene in caso di calamità naturale.

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Feb 072019
 

Il problema idrico mondiale è sicuramente una delle sfide maggiori per i paesi sviluppati. 2,1 miliardi di persone al mondo attualmente non hanno accesso all’acqua potabile con le gravi conseguenze sia igieniche che sanitarie. La situazione mondiale pare non stia migliorando, anzi la crisi idrica ha colpito anche paesi precedentemente non coinvolti in questa problematica allargando il problema.

Riuscire a reperire acqua potabile a basso costo per rifornire questi paesi sta diventando una priorità e l’ultima novità è stata presentata al CES di Las Vegas finanziata da un fondo compartecipato da due dei più ricchi miliardari del mondo, Bill Gates e Jeff Bezos. L’idea finanziata e quella della startup Zero Mass Water, che utilizza un sistema alimentato da pannelli solari fotovoltaici, in grado di estrarre l’acqua dal vapore contenuto nell’aria, sterilizzarlo, trasformarlo in liquido e immagazzinarlo in un container direttamente connesso con un rubinetto. Il processo sfrutta pannelli solari noti come Source ed un materiale in grado di assorbire le particelle di umidità dell’atmosfera. Con soli 2.000 dollari più 500 per l’istallazione, Source può fornire l’equivalente di 10 bottiglie di acqua al giorno per un periodo compreso tra 15 e 20 anni.

Il progetto è stato già introdotto in via sperimentale in 18 paesi, ma la società mira a rendere Source disponibile ai governi locali e associazioni no profit così da portare l’acqua nelle comunità più a rischio. Il sistema utilizza, inoltre, è una serie di filtri capaci di impedire al particolato e ad altri detriti di entrare nell’impianto in maniera tale che l’acqua non venga contaminata.

Anche gli Stati Uniti d’America, dove un milione e mezzo di persone non hanno accesso all’acqua potabile, stanno pian piano implementando questo sistema a basso costo, capace di garantire maggiore salubrità rispetto a quella offerta oggi dalle bottiglie di plastica.

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Feb 062019
 

A volte le idee migliori vengono per caso, a volte sono provocate da azioni o fatti reali, altre vengono dalla fantasia dei bambini. È questo il caso di Haaziq Kazi un bambino indiano di appena 12 anni che ha ideato una superbarca smart capace, nella sua visione, di ripulire il mare dalle tonnellate di plastica che vi finiscono per mano dell’uomo. Un progetto visionario, fantasioso ma capace di sensibilizzare tutti su un problema grave che riguarda l’intero pianeta.

Il bambino lavora a questo progetto già da quando aveva nove anni e la sua nave di nome Ervis è ormai definita in ogni elemento. Dotata di un sistema di dischi, pompe idrauliche e filtri perfettamente disegnati, capaci di risucchiare tutta la plastica dagli oceani ma non soltanto. E’ anche capace di separare i rifiuti raccolti e distinguerli per caratteristiche e pericolosità.

Ervis è lunga 40 metri, larga 12 e alta 25 e dovrebbe avere una stazza orientativa di 600 tonnellate e dovrebbe essere capace di muoversi anche sui fiumi. Un progetto geniale, originale tanto da esser diventato fonte di ispirazione per molti ed esser valsa la ribalta al giovane indiano, invitato a  convegni e conferenze sui problemi degli oceani e dell’inquinamento.

Haaziq punta sempre il dito sulla tempistica, ricordando come sia necessario intervenire al più presto per salvare il mare. Il giovane indiano sta cercando uno sponsor che possa trasformare il suo progetto in una barca reale e chissà, se nel suo percorso, il giovane inventore riuscirà a coronare il suo sogno di fanciullo.

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Giu 142018
 

Plastica, è sicuramente il materiale di cui maggiormente si parla in questi giorni e purtroppo non positivamente. Telegiornali, radio, internet, ovunque la si menziona a causa dei suoi effetti altamente nocivi per l’ambiente.

Tante sono le strade e le ricerche sviluppate al fine di risolvere una volta per tutte i problemi generati dalla produzione di questo utilissimo materiale e l’ultima prende il nome di Sweetwoods, ossia la realizzazione di biomateriali a partire dal legno.

Questo progetto nasce dalla collaborazione di nove società europee finanziate con 21 milioni di euro dallo strumento finanziario Bio-Based Industries nel programma Horizon 2020 dell’Unione europea.

Il processo consiste nel trasformare il legno in zuccheri e lignina in modo da poter perfezionare ulteriormente il materiale in altri prodotti capaci di poter sostituire le sostanze chimiche e le materie plastiche derivate dal petrolio.

Il progetto è molto ambizioso e apre scenari del tutto nuovi nel panorama internazionale. Lo afferma Laura Koponen, il direttore generale della finlandese Spinverse, una delle nove società coinvolte. La Koponen, spiega, che l’obiettivo è quello di implementare una nuova tecnologia produttiva su scala industriale entro i prossimi 4 anni. Si è dimostrato che dal legno e dalla sua raffinazione, è possibile produrre tantissimi nuovi prodotti che prima potevano essere realizzati solo ed esclusivamente con il petrolio e i suoi derivati.

Tramite questo processo chiamato bioraffinamento, da 80 tonnellate di legno, sono stati realizzati prodotti ad alto valore aggiunto, quali bioplastiche, carburanti, edulcoranti, materiali per isolamento ed altro.

Dalla sinergia delle nove aziende europee, capeggiate dalla estone Graanul Biotech specializzata nella lavorazione del legno, sono stati sviluppati molteplici procedimenti atti alla realizzazione dei nuovi materiali. La finlandese MetGen ha ideato un procedimento che sfrutta gli enzimi per l’estrazione dal legno dei biomateriali puri e le ulteriori trasformazioni. La tedesca Tecnaro GmbH, la Armacell, la francese Global Bioenergies e la belga Recticel N.V., utilizzano poi questi biomateriali puri prodotti dalla MetGen, per produrre rispettivamente bio-materiali-compositi, schiume in elastomero, biocarburanti e schiume poliuretaniche.

Vedremo se i tempi di realizzazione di questo nuovo processo produttivo rispetteranno quelli previsti dal finanziamento europeo.

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Apr 212017
 

Bolla04

I ricercatori di dello Skippin Rocks Lab, un gruppo di ingegneri laureati all’RCA e all’Imperial College di Londra, hanno lavorato per anni alla realizzazione di un prodotto rivoluzionario capace di risolvere uno dei maggiori problemi ambientali del pianeta; lo smaltimento delle bottiglie di plastica.

Come tutti sappiamo, queste sono realizzate con un materiale non biodegradabile e per questo difficili da smaltire senza inquinare. La loro ricerca si è per questo indirizzata verso la creazione di un nuovo prodotto capace di sostituirle in maniera definitiva. Il risultato è stato straordinario; è stata creata OHOO, una bolla trasparente come una pellicola che avvolge e contiene al suo interno del liquido quale acqua o succhi di frutta. Questa pellicola è totalmente naturale, realizzata con un’alga marina commestibile e biodegradabile. In pratica questa bolla, contiene al suo interno acqua minerale ed è capace di mantenere l’igienicità del prodotto prima del suo uso.

Bolla03

L’utente può ingoiare la bolla e una volta che questa è nella bocca può essere morsa facendone fuoriuscire il contenuto oppure si può attendere che questa si sciolga fino al rilascio del suo contenuto.

Il prodotto, come detto, è totalmente biodegradabile questo significa che se non utilizzato nel periodo di circa 4 o 6 settimane si decompone naturalmente.

Bolla01

Lo sviluppo di questo progetto è datato 2013 e da allora il team di ingegneri a racconto oltre 800.000 sterline attraverso il crowdfunding.

La scoperta se ben utilizzata porterà ad una drastica riduzione della plastica utilizzata per la realizzazione delle bottiglie per alimenti contribuendo in maniera importante a preservare l’ambiente dal forte potere inquinante di questo materiale.

Inoltre, sarà divertente e interessante, bere acqua da una bolla trasparente piuttosto che da una bottiglia.

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Set 162016
 

PlasticaLatte02

Uno dei maggiori problemi della società moderna, soprattutto nelle grandi città, è l’eliminazione di milioni di tonnellate annue di rifiuti dovuti alla realizzazione di confezioni in plastica per gli alimenti. L’uso della plastica è favorito dal fatto che questa blocca il contatto del cibo con l’aria e quindi con i batteri in essa presenti che sono la causa principale del deperimento dei cibi.

Da uno studio condotto negli Stati Uniti, però parrebbe che questa tendenza possa essere cambiata. Questo studio condotto dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti afferma che nel giro di circa 3 anni, le plastiche per la conservazioni degli alimenti saranno sostituite integralmente da pellicole commestibili e biodegradabili derivate direttamente dal latte.

PlasticaLatte03

I vantaggi saranno notevoli, innanzitutto perché si ridurrà enormemente la quantità di prodotti plastici non bio-degradabili da smaltire, con enorme giovamento per l’ambiente e poi perché pare che questa bio-plastica sia molto efficace nel bloccare il contatto del cibo con l’ossigeno presente nell’aria. Questo migliore isolamento, circa 500 volte superiore, consentirebbe una migliore conservazione dell’alimento nella catena di distribuzione riducendo notevolmente gli sprechi.

Questo miracolo è dovuto al fatto che i pori di queste pellicole ottenute dalla caseina del latte, sono talmente piccoli da impedire quasi totalmente il passaggio dell’ossigeno. La resistenza all’umidità, alla trazione e alle temperature è stata ottenuta poi, utilizzando la pectina, un carboidrato estratto dai limoni.

Due delle ricercatrici coinvolte, Peggy Tomasula e Laetitia Bonnaillie, hanno affermato che le prime applicazioni di questa nuova bio-plastica, potranno essere quelle per la realizzazione di mono-porzioni di cibo e sicuramente quello di poter spruzzare questa pellicola come uno spray su alcuni cibi poco resistenti a contatto con l’umidità quali cereali e le famosissime pizze.

PlasticaLatte01

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Giu 012016
 
ELASTOMERI
Indice Argomenti
1 LA GOMMA NATURALE
2 LA VULCANIZZAZIONE
3 LE LAVORAZIONI
4 GLI PNEUMATICI
M MAPPA CONCETTUALE DELL’ARGOMENTO
V APPROFONDISCI CON I VIDEO
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#1

LA GOMMA NATURALE

La gomma, è estratta da piante facendone coagulare il lattice prodotto dall’incisione della corteccia. In particolare l’albero da cui viene estratto il caucciù (derivato dal francese caoutchouc), chiamato anche secreto, è l’Hevea brasiliensis, una pianta alta anche 30 metri diffusa particolarmente nella foresta amazzonica.

La gomma, è un materiale molto sensibile sia ai cambiamenti di temperatura che alla luce:

  • si ammorbidisce con il caldo
  • si irrigidisce con il freddo
  • il colore varia se esposto alla luce diretta

La gomma estratta dalla pianta, ha caratteristiche specificatamente plastiche, poco idonee alle necessarie lavorazioni.

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LA VULCANIZZAZIONE

Charles Goodyear

La vulcanizzazione è quel processo termo-indurente che viene applicato nella lavorazione delle gomme naturali. Questo processo fu scoperto e utilizzato per la prima volta da Charles Goodyear nel 1855 e consiste nel far reagire a caldo la gomma con lo zolfo e altri derivati capaci di cambiarne radicalmente le caratteristiche chimico-fisiche.

In origine, le molecole della gomma non hanno legami trasversali, per cui il materiale si presenta come una termoplastica, ossia un materiale che se sottoposto a calore rammollisce. Con l’aggiunta dello zolfo, invece, in percentuali variabili dallo 0,5% al 3%, la gomma diventa più soffice ed elastica e rammollisce solo a temperature elevate.

Dopo il trattamento termico, lo zolfo crea legami chimici tra le catene molecolari della gomma; queste appaiono divise tra di loro e lo zolfo crea dei ponti o legami chimici, ossia un vero e proprio reticolo stabile che conferisce al nuovo materiale proprietà elastiche e indeformabilità quando sottoposto al calore.

Vulcanizzazione05

Vulcanizzazione03La vulcanizzazione avviene quasi esclusivamente a caldo, sottoponendo la gomma all’azione dello zolfo in forni a temperatura di circa 140-170°C o, più raramente, a freddo sottoponendo la gomma all’azione di sostanze in grado di cedere zolfo come il monocloruro di zolfo, l’idrogeno solforato, ecc.

Se la percentuale di zolfo è maggiore, ossia compresa tra il 25-30%, si ottiene un materiale duro, chiamato ebanite, caratterizzato da un numero elevato di legami molecolari e si utilizza per la realizzazione di oggetti come ad esempio i boccagli per gli strumenti musicali.

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LE LAVORAZIONI

La lavorazione avviene per stampaggio, sia per iniezione che per compressione. Viene realizzato un apposito stampo in acciaio che riproduce un numero di impronte determinato dal volume del pezzo o dalla quantità di elementi da realizzare.

Stampaggio per iniezione

Stampaggio per iniezione

Stampaggio per compressione

Stampaggio per compressione

Una volta questo procedimento si applicava solo alle gomme naturali, ma oggi il termine vulcanizzazione ha assunto un significato più ampio perché coinvolge anche le resine sintetiche.

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GLI PNEUMATICI

Vulcanizzazione06

L’oggetto più importante per diffusione, prodotto con la gomma, è lo pneumatico. La sua realizzazione richiede un preciso procedimento caratterizzato da una serie di fasi da realizzare in sequenza.

La prima operazione prende il nome di mescola; in questa fase diversi tipi di gomma e altri componenti vengono selezionati e miscelati all’interno di enormi macchine miscelatrici fino a creare un composto di colore nero pronto per la fase successiva: la macinatura.

In questa fase, la gomma viene raffreddata e tagliata a strisce che costituiranno la struttura di base dello pneumatico.

La terza fase, la produzione, è quella in cui viene costruito lo pneumatico partendo dall’interno verso l’esterno. Prima gli elementi in tessuto, poi le cinture di acciaio, i talloni, la tela e infine il battistrada. Vengono tutti insieme inseriti in una macchina che li assembla creando quello che prende il nome di pneumatico crudo.

Infine, la vulcanizzazione, nella quale lo pneumatico crudo viene inserito all’interno di stampi incandescenti dove tutti i componenti vengono compressi conferendogli la forma definitiva comprensiva del disegno del battistrada e delle diciture del produttore sulla banda laterale.

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COME NASCE UNO PNEUMATICO PNEUMATICI RIGENERATI
Durata: 05:07 Durata: 04:59
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Dic 162015
 
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PlasticaRiciclata03

I nostri mari e i nostri oceani sono ormai completamente inquinati da montagne di polimeri plastici non bio-degradabili. Quante volte vediamo sui nostri schermi scene di incredibili disastri ambientali. Arriva da una grande marca di abbigliamento sportivo Adidas e da Parley for the Oceans una possibile soluzione a questo grave problema; utilizzando le tonnellate di plastica recuperabili dai nostri mari, attraverso sofisticate stampanti 3D, questi rifiuti, possono essere riciclati per realizzare parti di calzature sportive.

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In pratica, attraverso questo processo, vengono realizzate delle scarpe dotate di intersuola, ossia lo strato interposto tra la parte superiore e quella inferiore della suola, con materiali totalmente riciclati.

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La sede per presentare quello che ancora è un prototipo, è stata la città di Parigi che ospita in questi giorni la COP21, conferenza internazionale sul clima. Alla conferenza, l’Adidas, non ha voluto presentare il prototipo per una futura commercializzazione, ma per dimostrare come le aziende impegnate a livello internazionale in differenti ambiti, possano rivedere le proprie politiche commerciali e le proprie linee produttive in vista di un pianeta più green.

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Oramai il nostro pianeta è caratterizzato dalla presenza di vere e proprie isole artificiali della dimensione di oltre 700.000 chilometri quadrati, ossia una estensione pari a una nazione come la Spagna. La più grande si trova a galleggiare sull’oceano pacifico e prende il nome di Great Pacific Garbage Patch.

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Un problema globale, che non può e non deve essere sottovalutato e le cui soluzioni non possono più attendere le decisioni dei grandi leader mondiali; questo quanto affermato da Eric Liedtke di Adidas, il quale sottolinea la necessità di portare tutte le grandi aziende intorno a un tavolo per ridefinire le strategie produttive.

Ridurre l’inquinamento dei nostri mari e soprattutto dei fondali, è diventato il 14° obiettivo di sviluppo delle Nazioni Unite. Cyrill Gutsch di Parley for the Oceans, network che si occupa di riduzione dell’inquinamento negli oceani, ha rilasciato interviste entusiaste sull’avvio di questo progetto e sulla collaborazione di Adidas come partner per raggiungere questi obiettivi. La stessa Adidas oltre alla partnership ha deciso di dare un contributo reale e fattivo a questo progetto; ha infatti annunciato di voler eliminare totalmente dai propri negozi entro il 2016, quindi da subito, tutte le buste di plastica.

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