Ago 192023
 

Ogni tanto la scienza ci fornisce qualche buona notizia, soprattutto a fronte degli sforzi internazionali che sono stati compiuti per rimediare a problematiche ambientali che la scelleratezza dell’essere umano ha generato.

Tutti sappiamo cos’è il buco dell’ozono, quel sottile strato dell’atmosfera terrestre che ci difende dai raggi ultravioletti che arrivano dal Sole. Questo filtro consente ai raggi di passare solo in quantità limitata e per la quantità necessaria al nostro Pianeta.

Qualche anno fa gli scienziati hanno scoperto che si era creato un buco… (se vuoi continuare ad approfondire, clicca sull’immagine qui sotto per leggere il resto dell’articolo)


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Gen 312022
 

Le fonti che contribuiscono all’inquinamento ambientale, soprattutto atmosferico sappiamo benissimo quali sono; le autovetture, i mezzi di trasporto in generale, l’agricoltura ma soprattutto l’industria pesante. La quantità di CO2 immessa in atmosfera dai cicli di produzione di queste aziende, contribuisce in maniera notevole a lasciare un’impronta ecologica piuttosto pesante sul nostro pianeta.

Proprio un’azienda italiana, la Saipem, gigante internazionale dell’energia e delle infrastrutture, fondata intorno agli anni 50, ha sviluppato una tecnologia rivoluzionaria basata sull’azione di un enzima per assorbire, come fanno i polmoni umani, parte del carbonio presente in atmosfera per riconvertirlo o riutilizzarlo negli stessi processi produttivi abbassando enormemente l’inquinamento ambientale.

La tecnologia chiamata CO2 Solutions di Saipem, nasce dall’osservazione e dallo studio del mondo vivente, ossia da come funzionano i polmoni degli organismi viventi per assorbire parte del carbonio presente nell’atmosfera. Nei nostri polmoni, infatti, l’enzima anidrasi carbonica (CA), è in grado di assorbire e purificare la CO2 consentendo la respirazione e l’eliminazione di parte di questa sostanza. La tecnologia sviluppata da Saipem, utilizza in maniera ingegnosa, il processo dell’anidrasi carbonica accelerando drasticamente tale processo di cattura e di riconversione rispetto alle tecnologie convenzionali.

La CO2 Solutions, utilizza un enzima proprietario chiamato 1T1, capace di accelerare questo processo e di farlo avvenire all’interno di un sistema che utilizza soluzioni saline semplici, innocue, diversamente dall’uso dei solventi tossici e delle altre tecnologie di cattura, finora utilizzate.

La tecnologia è stata sviluppata all’interno dell’azienda grazie anche ai contributi economici e al sostegno del governo canadese, dov’è stato possibile sperimentare, all’interno di alcune aziende, le proprietà dell’enzima 1T1, consentendo all’azienda che produce internamente l’enzima, di abbassare significativamente i costi e di non avere problemi nell’approvvigionamento dei propri clienti.

I vantaggi del processo sono dimostrati e dimostrabili, in quanto il solvente utilizzato nel processo è a base di acqua, un sale carbonato, un agente anti-schiuma e l’enzima brevettato. L’uso di questa combinazione consente di ottenere notevoli vantaggi, come per esempio la semplificazione del processo di assorbimento e la riduzione del numero dei macchinari o dei sistemi per la purificazione della CO2. Inoltre, il sistema non utilizza processi a caldo eliminando così il costo associato al fabbisogno di energia termica necessaria per il funzionamento del processo. 

Infine, i prodotti di scarico di questo processo, sono atossici e biodegradabili per cui si elimina anche il complesso trattamento di purificazione delle acque di scarico abbassando ulteriormente i costi per le aziende.

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Giu 142018
 

Plastica, è sicuramente il materiale di cui maggiormente si parla in questi giorni e purtroppo non positivamente. Telegiornali, radio, internet, ovunque la si menziona a causa dei suoi effetti altamente nocivi per l’ambiente.

Tante sono le strade e le ricerche sviluppate al fine di risolvere una volta per tutte i problemi generati dalla produzione di questo utilissimo materiale e l’ultima prende il nome di Sweetwoods, ossia la realizzazione di biomateriali a partire dal legno.

Questo progetto nasce dalla collaborazione di nove società europee finanziate con 21 milioni di euro dallo strumento finanziario Bio-Based Industries nel programma Horizon 2020 dell’Unione europea.

Il processo consiste nel trasformare il legno in zuccheri e lignina in modo da poter perfezionare ulteriormente il materiale in altri prodotti capaci di poter sostituire le sostanze chimiche e le materie plastiche derivate dal petrolio.

Il progetto è molto ambizioso e apre scenari del tutto nuovi nel panorama internazionale. Lo afferma Laura Koponen, il direttore generale della finlandese Spinverse, una delle nove società coinvolte. La Koponen, spiega, che l’obiettivo è quello di implementare una nuova tecnologia produttiva su scala industriale entro i prossimi 4 anni. Si è dimostrato che dal legno e dalla sua raffinazione, è possibile produrre tantissimi nuovi prodotti che prima potevano essere realizzati solo ed esclusivamente con il petrolio e i suoi derivati.

Tramite questo processo chiamato bioraffinamento, da 80 tonnellate di legno, sono stati realizzati prodotti ad alto valore aggiunto, quali bioplastiche, carburanti, edulcoranti, materiali per isolamento ed altro.

Dalla sinergia delle nove aziende europee, capeggiate dalla estone Graanul Biotech specializzata nella lavorazione del legno, sono stati sviluppati molteplici procedimenti atti alla realizzazione dei nuovi materiali. La finlandese MetGen ha ideato un procedimento che sfrutta gli enzimi per l’estrazione dal legno dei biomateriali puri e le ulteriori trasformazioni. La tedesca Tecnaro GmbH, la Armacell, la francese Global Bioenergies e la belga Recticel N.V., utilizzano poi questi biomateriali puri prodotti dalla MetGen, per produrre rispettivamente bio-materiali-compositi, schiume in elastomero, biocarburanti e schiume poliuretaniche.

Vedremo se i tempi di realizzazione di questo nuovo processo produttivo rispetteranno quelli previsti dal finanziamento europeo.

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Mar 182017
 

Spugna02

Il problema dell’inquinamento del mare dovuto allo sversamento del petrolio è sempre di attualità e molto sentito dall’opinione pubblica. Incidenti sulle piattaforme o occorsi alle petroliere rischiano spesso di compromettere in maniera permanente enormi zone di mare anche particolarmente importanti dal punto di vista della biologia marina.

Diversi studi sono in corso da parte di molte università al fine di trovare una soluzione definitiva a questo problema.

L’ultimo ritrovato è stato realizzato dall’Argonne National Laboratory dell’Illinois. Si tratta di una schiuma polimerica capace di assorbire il petrolio in quantità pari a 90 volte il proprio peso ma capace di restituire il greggio, in una seconda fase, strizzandola come se fosse una spugna.

Questo consente non solo di ripulire il mare ma di riottenere il greggio perduto con un doppio evidente vantaggio.

Spugna04

La peculiarità che rende unica questa schiuma polimerica, che possiamo definire spugna polimerica, è il fatto che consente di trattenere al suo interno gli idrocarburi e di poterli appunto restituire una volta completata la fase di assorbimento. Si tratta di una combinazione di sostanze plastiche, poliuretani e poliimmidi, rivestiti da un composto chimico, il silano, che è capace di attirare a sé una quantità di greggio ben specifica. Quest’ultimo concetto è molto importante perché il comportamento della spugna è simile a quello di altri prodotti ma questa caratteristica ne fa la differenza; la carta assorbente usata in cucina, ad esempio, una volta utilizzata non può essere riutilizzata perché completamente inzuppata è incapace di restituire il prodotto assorbito.

Il silano contenuto all’interno della spugna consente di fissare in maniera precisa la quantità di greggio che essa può e deve assorbire, in modo da non essere mai né al di sotto ne al di sopra dei valori che la rendono speciale.

Diversi test sono stati fatti sul campo proprio per verificare e individuare questa precisa quantità in modo da ottenere il prodotto perfetto. All’interno di apposite piscine utilizzate per simulare gli sversamenti di greggio, sono stati stesi dei teli di 6 metri quadrati di questo prodotto che ha dimostrato di assorbire molto meglio rispetto a prodotti simili.

Al termine dei test all’interno di apposite presse, la spugna è stata strizzata restituendo il carico di greggio.

Resta adesso soltanto da effettuare i test in mare aperto per verificarne il comportamento nelle grandi profondità marine alle condizioni di pressione e temperatura specifiche.

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