Lug 232017
 

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Al fine di rendere l’esperienza d’uso sempre più coinvolgente e mantenere un alto livello di sicurezza, diversi costruttori di smartphone stanno lavorando a soluzioni alternative a quelle fino ad ora utilizzate.

Lo scopo è quello di avere schermi sempre più grandi e definiti e di integrare sempre più funzioni tra la quali riconoscimento delle impronte, pagamenti digitali, realtà aumentata.

I maggiori competitor, ossia Apple e Samsung, sono sempre alla ricerca della soluzione innovativa che potrebbe far conquistare nuove fette di mercato, ma l’introduzione di alcune novità porta sempre dietro grandi difficoltà realizzate e di assemblaggio.

L’eliminazione del tasto fisico per il riconoscimento delle impronte sugli smartphone è sicuramente una delle strade più seguite, perché questo permetterebbe di risparmiare una discreta quantità di spazio da poter utilizzare integralmente per la navigazione touch screen.

Qualcomm, il colosso tecnologico che collabora con i costruttori di smartphone, ha forse realizzato lo strumento finale per la realizzazione di questa innovazione tecnologica. Si tratta di nuovi sensori di impronte ultrasonici, capaci di funzionare sotto la maggior parte delle superfici, sia esse metalliche, che plastiche o di vetro.

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La soluzione presentata da Qualcomm al Mobile World Congress di Shanghai, consente di rilevare le impronte sotto superfici in vetro  dallo spessore fino a 800 micrometri, ma la cosa innovativa, non è quella di aver superato il precedente limite, ma quello di aver reso possibile tale operazione anche attraverso superfici non trasparenti. Infatti, il sensore ultrasonico, consente di rilevare le impronte digitali attraverso uno spessore di 650 micrometri di metallo ma soprattutto consente di rilevare gesture direzionali e di leggere le impronte anche sott’acqua, superando i limiti delle attuali tecnologie.

Ma se ciò non bastasse, i nuovi sensori ultrasonici, consentono anche una lettura del battito cardiaco e del flusso sanguigno diventando indispensabili per quei dispositivi fitness e medicali e per garantire un riconoscimento e una sicurezza ancora superiori.

Per la commercializzazione e l’utilizzo nei dispositivi mobili, Qualcomm rimanda il tutto all’estate del 2018, quando i sensori saranno completati e predisposti per una produzione di massa.

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https://www.youtube.com/watch?v=0df9m0qTo-8
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Lug 112017
 

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La bioluminescenza, è un fenomeno naturale già conosciuto da tempo dagli scienziati e manifesto in differenti specie naturali, quali le lucciole, alcuni batteri e la sepiolida una piccola seppia che vive nelle profondità oceaniche.

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Sepiolida

Approndimento: la luminescenza è quel fenomeno in cui la luciferina, sostanza organica capace di emettere luce, entra in reazione con un enzima che accelera la reazione chimica necessaria, chiamata luciferasi. La fluorescenza è quel fenomeno, invece, che accade quando gli animali assorbono luce di un certo colore e ne emettono di colore differente.

Le modalità in cui gli esseri viventi emettono luce, sono diverse: alcuni la producono spontaneamente generando i due composti di cui all’approfondimento precedente, altri li assorbono mangiandoli, altri entrano in simbiosi con batteri diventando essi stessi produttori di luce.

Alcuni team di scienziati, sta usando queste conoscenze sulla bio-luminescenza e sulla fluorescenza per applicarla ad altri esseri che non la posseggono. Il processo, piuttosto complesso, consta di tre fasi fondamentali: progettazione, stampa e trasformazione.

La progettazione è quella fase in cui, attraverso l’uso del genoma, si crea una sequenza precisa di DNA;

la stampa è invece quel processo in cui la sequenza di DNA generata viene stampata tramite una stampante laser;

la trasformazione, infine, è quella fase in cui la sequenza generata viene modificata per renderla compatibile con l’organismo cui è destinata.

Approndimento: il DNAacido desossiribonucleico è una macromolecola essenziale che contiene le informazioni genetiche indispensabili per lo sviluppo ed il corretto funzionamento della maggior parte degli organismi viventi.

Da qualche anno (2010), studi sperimentali condotti da differenti team di scienziati nel mondo, stanno permettendo di applicare queste conoscenze agli organismi vegetali creando quelli che vengono definiti Glowing Tree cioè alberi luminescenti.

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Il processo per rendere bioluminescenza le piante è quello di inserire geni modificati attraverso iniezioni in modo da consentire a queste l’acquisizione della proprietà.

Molte sono state le opinioni in merito, soprattutto contrastanti; da un lato c’è chi è fautore di questa nuova frontiera capace di ridurre drasticamente il consumo energetico, l’inquinamento e di migliorare il decoro in ambito urbano; dall’altra, i contrari, che ritengono si stiano facendo esperimenti non propriamente leciti con la modificazione innaturale del DNA dei soggetti viventi.

In realtà queste critiche si stanno pian piano stemperando, perché gli esperimenti condotti, non comportano in nessun caso il danneggiamento ne alle specie soggette alla modificazione genetica, ne all’ambiente che li circonda perché trattasi di semplici interazioni biologiche tra organismi appartenenti a specie diverse. Anche il Dipartimento di Agricoltura americano che sottende al controllo di queste attività, ha confermato la bontà e l’assoluta innocuità delle pratiche condotte.

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Tra gli studi in corso, quelli maggiormente accreditati sono quelli capitanati dal designer olandese Daan Roosegaarde che sta portando a termine il primo prototipo di Glowing Trees basato sugli esperimenti del biologo molecolare Alexander Krichevsky, in collaborazione con l’Istituto Bioglow Tech e la State University di New York.

Un altro studio particolarmente interessante è quello che consente di emettere una particolare luce blu alla Arabidopsis thaliana, condotto dall’imprenditore Antony Evans con il suo gruppo di ricerca.

Ed infine, lo studio condotto in Cina a cura dell’Università Nazionale Cheng Kung di Taipei e dell’Accademia Sinica per sostituire i diffusissimi LED. Gli scienziati, hanno impiantato nano particelle d’oro sulle foglie della Bacopa Caroliniana che in combinazione con i raggi ultravioletti produce quella che tecnicamente è stata definita Risonanza Plasmonica Superficiale, cioè che la clorofilla delle piante emette una luce rossastra.

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